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Ho sempre creduto che fermezza e intransigenza fossero indice di forza e carattere e di conseguenza per anni mi sono arrovellata sul decidere da che parte stare: bianchi o neri?

E, una volta scelta la fazione, tutto rientrava o non rientrava nel codice di comportamento richiesto dal gruppo di appartenenza. Poi, durante il master in progettazione grafica, sul programma che trasforma uno schermo bianco in qualsiasi cosa si possa immaginare-progettare-trasformare-costruire, mi resi conto che c’era la funzione “scala di grigi”: con un click, non solo tutto il colore diventava grigio, ma il grigio non era unico e andava in un sacco di sfumature. Dunque, tutto quello che era sullo schermo assumeva una nuova luce e bisognava eventualmente riprogettare affinché poi gli oggetti, una volta riportato di nuovo il colore, funzionassero meglio. Un po’ è quello che spesso succede fuori dallo spazio di progettazione: mi pare di poter dare un colore alle cose, alle persone, alle situazioni o alle emozioni, ma poi capita che si modifica la luce che li illumina — e quindi lo sguardo con cui li guardo —  e devo così rimodellare la struttura immaginaria del mio cerchio della fiducia. Il colore, lo hanno detto i tanti autori di questo numero, è anche un fatto percettivo, dunque al di là delle misurazioni fisiche, ognuno di noi ha un’impressione diversa. Ora succede che esiste almeno un colore, utilizzato nel settore ingegneristico e astronomico, che è assoluto — o quasi. Si chiama Vantablack, e, scopro solo ora che scrivo, il suo record di essere il nero più nero che c’è, è stato battuto dal Blackest Black: composto da nanotubi di carbonio, questo colore riesce a trattenere il 99,995% della luce solare.

Due fusioni in bronzo identiche, tranne per il colore: una è rivestita con Vantablack (archivio: Surrey NanoSystems)
Due fusioni in bronzo identiche, tranne per il colore: una è rivestita con Vantablack (archivio: Surrey NanoSystems)

Questo vuol dire che la quantità di luce assorbita da questo materiale è tale che l’occhio umano non lo percepisce realmente, facendo “scomparire” qualsiasi oggetto da esso rivestito. L’occhio umano non è più in grado di distinguere i contorni dell’oggetto, né la forma. Come guardare in un buco nero, immagino. Ma, anche in questo caso, la percentuale data dagli ingegneri del MIT non è assolutamente cifra tonda: il numero che prima vi ho indicato, anche se per pochissimo, non è il cento per cento. Come a dire: non esiste la certezza assoluta. Questa piccola frazione numerica mi convince ad aprire spiragli inclusivi in  quelle certezze-muraglia che mi circondano, crepandone man mano la consistenza e permettendo così a nuovi mondi di entrare a colorare il tutto. Strada aperta dunque agli arcobaleni per le identità non binarie, all’azzurro per i telefoni contro la violenza sui minori, al rosso per le panchine contro la violenza sulle donne e chi più ne ha, più ne metta. Perché, per una volta, per me e per voi, non sia tutto o bianco o nero.


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N. 29, “Colore”, NELLA SEZIONE EDITORIALE — SETTEMBRE-DICEMBRE 2023

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