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Intervista a Peppe Barra — Figlio d’arte classe 1944, attore e cantante, Peppe Barra rappresenta un forziere di napoletanità tra rottura e innovazione, anticonformista e poliedrico.

La sua narrazione, avvolta in un velo di magia e poesia, vibra di passione e colore, mescolandosi completamente nell’aria partenopea e restituendo al pubblico personaggi fortemente caratterizzati. Lo abbiamo raggiunto al telefono, per una breve intervista ricca di significati più o meno velati, partendo proprio da una delle sue ultime apparizioni sul grande schermo: La Napoli velata di Ferzan Özpetek. Barra è narratore della scena della figliata dei femminielli, descritta anche da Curzio Malaparte ne La pelle: «Era un uomo, senza dubbio, un giovane di non più di vent’anni. Si lamentava cantando a bocca aperta, e dondolava la testa qua e là sul guanciale, agitava fuor dei lenzuoli le braccia muscolose strette nelle maniche di una femminile camicia da notte, come se non potesse più sostenere il morso di qualche sua crudele doglia». Anche Liliana Cavani riporterà la scena nel film La Pelle. In questa rappresentazione magica e mistica, il femminiello darà alla luce una creatura — molto spesso l’ultimo nato del quartiere —, donandole con questo rito fortuna e lunga vita. La figura del femminiello fa parte del tessuto sociale della Napoli folkloristica, ed è un buo punto di partenza per la riflessione sull’identità di genere.

Cosa rappresenta la scena della figliata che Lei narra in una delle prime scene del film La Napoli velata di Ferzan Özpetek?

Può rappresentare tutto e niente. Nel mondo popolare dell’omosessualità — intendo il mondo visto dal popolo — degli anni ‘50, dove tutto era castrato e tutto rappresentava un tabù, quando queste cose non si potevano fare né vedere, la figliata del film di Özpetek è una scena completamente inventata, poetica e non corrispondente al vero. Nessuno poteva accedere a questo rituale se non era un conoscente ammesso. Oggi la figura del femminello a Napoli non esiste più. Esiste il gay, che ha tutt’altro spessore e altre caratteristiche rispetto al personaggio del femminello napoletano. Oggi ci sono i gay che si conoscono, stanno bene insieme, hanno la libertà di fare tutto quello che vogliono, gay party, baciarsi in pubblico, abbracciarsi in mezzo alla strada. Prima esisteva un mondo popolare molto nascosto, abitato da queste figure un po’ magiche, un po’ strane, che si vedevano qualche volta anche in pubblico destando ilarità, se non anche violenza, perché molto spesso queste persone venivano picchiate. Nel mondo popolare napoletano il femminello era un personaggio drammatico: era benvisto ma solo fino a un certo punto, fino a quando non si dimostrava troppo sfacciato; se invece era tutto sacralizzato il popolo lo accettava.

Quali sono i rituali legati alla magia?

La figliata fa parte di quel rituale un po’ magico. La magia non è abracadabra, che fai sparire e riapparire qualcosa. La magia è poesia: una grande espressione di questa magia è nella canzone Aitano scritta da Roberto De Simone. È la storia drammatica di un femminello che, per amore degli amici e delle persone cui vuole bene, si sacrifica e nel suicidio c’è una ritualizzazione della Cabala per permettere all’intero quartiere la vincita al gioco del Lotto, che si arricchirà con la morte ritualizzata del femminiello. Questa è poesia — non realtà.

Lei interpreta spesso personaggi femminili. Come si vive in questi ruoli?

Nella Gatta Cenerentola, ad esempio, il personaggio della matrigna, che è interpretato da me, non ha mica il femminile. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il personaggio non è reale ma rituale, non solo favolistico perché preso dal Basile, ma anche ritualizzato. Nel momento in cui indossi un abito femminile diventi una donna ma con la tua identità maschile, per cui non puoi ammiccare al femminile: sarebbe volgare. La Gatta Cenerentola è un bell’esempio di mondo popolare visto con occhio poetico, musicale, visto con occhio da etnomusicologo di Roberto De Simone. La poesia, la magia del modo di comunicare napoletano ha sempre un valore di affabulazione. Nel momento in cui si entra nel gioco teatrale in cui si parla a un pubblico, ecco qua che alchemicamente si è formato un testo.

Il teatro quindi va al di là del femminile e del maschile?

Nel momento in cui si alza il sipario e tu calchi il palcoscenico, anche questo è tutto rituale. Anche la Messa è una rappresentazione teatrale, in più li vi è una connotazione della magia bianca. È molto difficile da spiegare.

Lei crede nella magia bianca e nera?

Non ci occupiamo di magia nera. Stiamo parlando di magia bianca, di formule come i passi del Vangelo in latino, che non sono altro che formule magiche recitate. Oggi il filo rosso della magia non c’è più perché è tutto in italiano, è tutto scoperto ed è tutto parlato al popolo. Il prete prima parlava dando le spalle ai fedeli, si raccoglieva lui e l’identità divina, senza svelare molte cose ai fedeli. Oggi invece è tutto diverso perché bisogna che tutti comprendano. Ma prima tutto era racchiuso nei fonemi latini.

La Napoli magica…

Napoli è una città magica per eccellenza. Innanzitutto perché poggia su una stratificazione di epoche; vive all’ombra di un vulcano in attività, che potrebbe eruttare da un momento all’altro, che da vita ma potrebbe dare anche la morte. Napoli è una città particolarissima.

Che segno lascia il teatro nella popolazione napoletana?

Il napoletano è un attore per eccellenza. Avendo il dna di persone che hanno dovuto combattere per farsi capire, la gestualità è esasperata. Già questo è teatro, teatrale. Io ho vissuto quelle giornate meravigliose dove in giro si sentivano ancora per strada le voci dei venditori, rumori, sapori, odori, suoni… Che ormai non ci sono più, purtroppo.

Qual è la strada da per correre per mantenere viva la napoletanità?

Bisogna inventarla, perché non c’è più. Bisogna inventarsi delle cose per poter comunicare ancora.

Con tutte le diversità di oggi, si fa molta fatica a essere inclusivi. Non vogliamo parlare di un mondo dove le diversità si appiattiscano, ma di un mondo dove ci sia inclusione del diverso.

Io questa diversità non la avverto. Per me sono tutti uguali. Per me il linguaggio dell’amore è universale.

Quali sono i prossimi progetti?

Il Festival del teatro napoletano con Non c’è niente da ridere con Lalla esposito, con le musiche di Giorgio Mellone e con la regia di Lamberto Lambertini.

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NOTE


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.22, “GENERE”, NELLA SEZIONE INTERVISTA — APRILE 2020

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